Prima ancora che la terra e il cielo avessero un nome, gli dèi primordiali Apsu e Tiamat mescolavano le acque dolci e salate dando così origine a una lunga stirpe celeste. Tuttavia ben presto si scatenò la guerra: Marduk, dio giovane e impetuoso, si levò tra le divinità minori contro la dispotica Tiamat e, squarciandole il corpo, diede forma all’universo intero. Così recita l’Enūma Elîš, il poema babilonese della creazione, in cui sono il conflitto e la brama di potere a plasmare il mondo. Ma è con l’Epopea di Gilgameš che la civiltà assiro-babilonese dona all’umanità il primo grande eroe della letteratura, un millennio prima di Achille e Ulisse. L’impavido Gilgameš, sovrano di Uruk, tenta l’impresa delle imprese: la conquista dell’immortalità. Dopo aver sfidato dèi e mostri, l’eroe si scontra però contro un’amara certezza: il segreto della vita eterna è privilegio esclusivo del divino e all’essere umano non resta che abbracciare la propria finitezza. Per gli assiro-babilonesi il mito non è fantasia, ma rivelazione: una mappa che guida l’uomo alla scoperta dell’ignoto, svelando ciò che sfugge agli occhi della ragione, placando l’angoscia della morte e dando ordine al caos. E in quei racconti antichi riecheggia ancora un’eco lontana ma viva, perché con la ribellione di Marduk, con la sofferenza di Gilgameš inizia anche la nostra storia, il cammino di un’umanità che si interroga incessante sulla vita e sulla morte, sul dolore e sullo scorrere inesorabile del tempo, oggi come quattromila anni fa.