Quando ha partecipato alla sua prima missione umanitaria – nella baraccopoli di Baia Mare, al confine tra Romania e Ucraina – Pietro Morello era giovanissimo. Ed era partito con il bagaglio tipico di chi è alla prima esperienza: le certezze facili, “vado lì e li aiuto”, che si hanno finché si rimane a casa, al sicuro. Lo scontro con la realtà è stato duro, ma questo non ha fatto altro che rafforzare la sua determinazione. È ancora un ragazzo, Pietro, eppure la sua vita è molto cambiata da allora. Il suo raro talento musicale è sbocciato in un’eccezionale carriera di artista e comunicatore, ma lui ha sempre portato avanti, in parallelo, un impegno costante nell’ambito degli aiuti umanitari, soprattutto se rivolti ai bambini. Dalle baraccopoli dell’Est Europa alle strade del Ruanda, dagli slum del Kenya al reparto pediatrico oncologico del Regina Margherita di Torino, va ovunque senta di poter portare un aiuto. E la musica per lui è una lingua universale, con cui riesce a comunicare sempre, anche quando mancano le parole. Io ho un piano è la sua testimonianza: vera, emozionante, a volte cruda. I lunghi mesi di pianificazione, i rigidi protocolli di sicurezza, l’entusiasmo per un bambino miracolosamente strappato alla sconfinata discarica in cui viveva, la meraviglia di fronte alla fantasia di chi è costretto a letto da cure pesanti, ma anche l’inevitabile incontro con la morte: Pietro racconta con semplicità, senza mai ostentare né le proprie imprese, né il dolore altrui. Solo con la voglia di comunicare, per aprirci gli occhi sui mondi paralleli che esistono anche vicino a noi, ma che a volte non sappiamo vedere. E per ricordarci che la felicità è una scelta: se la cerchi, puoi trovarla dappertutto. Perfino dove meno te lo aspetti.