Jātaka. Vite anteriori del Buddha

Jātaka. Vite anteriori del Buddha

Un tempo, quando a Benares regnava Brahmadatta, il futuro Buddha rinacque come topo, pieno di saggezza e grande e grosso come un giovane maiale. Egli prese dimora nella foresta, a capo di molte centinaia di topi.

Nella cultura indiana la fede nel ciclo delle nascite poggia sulla convinzione che ogni azione del presente sia determinante per l’esito della reincarnazione successiva. Il buddhismo accolse questa credenza e ne fece il presupposto dell’intera dottrina: reincarnarsi è un processo che trova il suo massimo compimento nella liberazione finale attraverso la pratica di una disciplina costante, come insegnato dal Buddha che visse più e più volte prima di raggiungere il nirvana.
I Jātaka narrano infatti le 547 vite precedenti del Buddha storico, tramandate prima oralmente e poi in forma scritta fino all’ultima redazione conosciuta, che risale al V secolo d.C.
In questi racconti il Bodhisatta, a volte protagonista e a volte semplice personaggio secondario, assume diverse sembianze: superbo pavone o virtuoso elefante, ricco banchiere oppure ladro furtivo o, ancora, divinità che dimora in un albero sulla sponda di un fiume.
Simili alle vite dei santi, i Jātaka costituiscono innanzitutto un testo popolare, il cui scopo era di istruire i fedeli su quali fossero le virtù da perseguire per liberarsi dalle passioni terrene.
Per il ritmo della prosa e la liricità dei suoi versi, questa raccolta rappresenta anche un tesoro della letteratura indiana, che diede in seguito vita a un vero e proprio genere letterario diffusosi ampiamente in Asia, tale da garantire così la fortuna dei Jātaka che ancora oggi alimentano l’immaginario di gran parte dell’Estremo Oriente.

«Il futuro Buddha compare nei “racconti del passato” sotto gli aspetti più diversi, nelle forme divine, umane o animali che avrebbe rivestito nel corso delle sue innumerevoli vite.
I Jataka godettero subito della deferente considerazione riservata ai testi dottrinari; da questi ultimi, tuttavia, erano tanto lontani, quanto a suggestione narrativa e accessibilità di contenuti, da raggiungere ben presto una popolarità e una diffusione enormi.
Dovevano servire come costante monito del castigo che inesorabilmente colpirà coloro che sono vittime delle brame e delle passioni, e della ricompensa che certamente coronerà gli sforzi dei virtuosi.»
dall’introduzione di Mariangela D’Onza Chiodo