«I fatti e, insieme, i detti memorabili dei Romani e dei popoli stranieri volli trascegliere dagli autori illustri e disporre ordinatamente per evitare, a chi volesse compulsare tali fonti, la fatica di una lunga ricerca.» Simboli di giustizia, dell’amor di gloria, della temerarietà, ma anche simboli di nefandezza, della corruzione morale, dell’ira e dell’odio. Questi sono i protagonisti degli exempla raccolti da Valerio Massimo nei “Detti e fatti memorabili”: condottieri, politici e intellettuali illustri, ma anche soldati semplici e personaggi meno conosciuti, prestano la propria indole e le gesta che li hanno contraddistinti all’arte della retorica. Da Scipione l’Africano, che da giovane dissoluto e svogliato si trasformò nel virtuoso condottiero che pose il giogo al collo di Cartagine, all’impavido Giulio Cesare che, non sopportando il ritardo del traghettamento tra due isole, si camuffò da schiavo e si pose lui stesso a guida di una navicella; o ancora il tiranno Falaride di Agrigento, che fece collaudare il celebre toro di bronzo proprio dal suo inventore, pareggiando in crudeltà il feroce Annibale. Scavando meticolosamente tra i vizi e le virtù dell’essere umano, Valerio Massimo riduce la narrazione storiografica a minime scene allegoriche, a piccoli quadri esemplificativi che dovevano ornare e impreziosire le arringhe dei giovani retori della Roma di Tiberio, chiamati con la forza della loro voce a rinvigorire l’attaccamento alla romanità e ai valori da essa espressi. Con uno stile piano e accessibile, vivacizzato da apostrofi rivolte direttamente ai personaggi trattati, l’opera di Valerio Massimo si distingue per l’inestimabile valore aneddotico e moralistico, per essere un composito affresco della storia romana, greca e di altri popoli ancora che seppe ispirare non solo i retori latini, ma anche gli autori medievali e rinascimentali.