«Brucio di passione e nell’animo, rimasto senza altri sentimenti, regna solo l’Amore.» Così Ovidio inizia a cantare negli “Amores”, destreggiandosi con i suoi precetti tra fedeltà, gelosia, frivolezza e volubilità, e lo fa con una tale leggerezza e maestria da rivoluzionare l’esperienza stessa dell’amore: nessun pathos e nessuno struggimento, amare è un passatempo in cui perdersi con distacco e ironia, con eleganza e malizia. Sempre sotto l’egida di Cupido, torna poi al tempo del mito, accarezzando con i versi delle “Heroides” le spine degli amori imperfetti e impartendo una lezione: l’amore devoto, soffocato dalla possessività e dalla nostalgia, è destinato ad appassire nell’infelicità di chi ama ciecamente. Per fuggire a questa sorte serve dunque padroneggiare l'”Ars amatoria”, un armamentario di regole, un vero e proprio catechismo del corteggiamento: dai luoghi più appartati di Roma all’abbigliamento più adatto all’occasione, Ovidio si fa maestro dei numerosi aspetti da considerare per padroneggiare quest’arte. E se nell’ispirato prontuario non si dimentica di istruire le giovani amanti su come sedurre e ammaliare a loro volta, a loro sono dedicate anche le ricette dei Medicamina faciei, in cui il poeta le invita a esplorare l’arte della cosmesi. Infine, per tutti coloro che, pur avendo seguito i precetti, non sono stati corrisposti, i “Remedia amoris” costituiscono la cura efficace al “mal d’amore”, così da spezzare le ferree catene di Cupido.