Dove si dimostra l’ingannevolezza dell’affermazione dei filosofi che Dio è il fattore e il costruttore del mondo, e che il mondo è un suo atto e prodotto; e dove pure si dimostra che tali espressioni sono, per i filosofi, solo metafore e non realtà.
Il trattato L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi fu composto da Averroè intorno al 1180 d.C., quando il pensatore musulmano era nel pieno dell’attività d’interpretazione e commento degli scritti di Aristotele, intrapresa su incarico del califfo Abu Ya’qûb Yûsuf.
Averroè, filosofo, giurista e intellettuale influente alla corte degli Almohadi – la dinastia berbera al potere nella Spagna musulmana –, con questo trattato si impegna precisamente nella missione di riscoprire e rivalutare Aristotele, difendendolo dagli attacchi sferrati dalla teologia e dalla mistica di alcune correnti islamiche, giunte con al-Ghazali al loro acme.
Come scrive Massimo Campanini, curatore dell’edizione, chi affronta la lettura di quest’opera di Averroè «non ha tra le mani un solo libro, ma due». L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi è infatti la risposta al libro L’incoerenza dei filosofi scritto dal grande mistico persiano al-Ghazali per attaccare la tradizione filosofica e soprattutto il modo di pensare dei filosofi. Averroè, da parte sua, si fa carico di dimostrare che la filosofia non contrasta con la religione, tanto che i due ambiti possono contribuire entrambi al progresso della conoscenza. Non è un caso che, in questo trattato denso e affascinante, il Corano sia spesso usato in chiave argomentativa, per illuminare alcuni tra i nodi teorici più importanti dell’intera storia della filosofia: dal concetto di tempo a quello di causalità, dall’immortalità dell’anima all’eternità del mondo.