Il Principe è l’opera «più letta e discussa, esaltata e vituperata, amata e odiata della letteratura politica di tutti i tempi». Questa definizione dello storico Federico Chabod non è esagerata, se si considera che l’opuscolo è all’origine della trattatistica politica moderna, e rende bene l’idea della fondamentale importanza che il trattato di Machiavelli ha avuto nell’evoluzione del pensiero occidentale.
Il libro, scritto nella seconda metà del 1513, rispecchia le complicatissime circostanze storiche dell’epoca, e si apre con il tentativo di categorizzare i diversi tipi di Stati e governi; oscillando tra storia antica e moderna, cerca poi di stabilire dei princìpi universali su come impadronirsi del potere e mantenerlo. L’opera è un resoconto persuasivo di comportamenti storici crudeli, presentati come cose che devono succedere: l’autore non deplora l’infelice status quo di un governante chiamato a scegliere se uccidere o essere ucciso, ma dà per scontato che i lettori sappiano che la vita, soprattutto quella politica, è di norma orribilmente spietata. Dedicato a Lorenzo de’ Medici e scritto per essere letto dai suoi contemporanei, con l’intenzione di avviare un dibattito con tutti i grandi storici e filosofi del passato, Il Principe fu pubblicato solo nel 1532, a vent’anni dalla sua composizione, e a cinque dalla morte del suo autore.
Nella vivace e informata introduzione, Tim Parks ripercorre, con la verve del narratore, gli intrecci tra il contesto politico che fa da sfondo all’opera, la personalità di Machiavelli e le particolari condizioni fisiche e psicologiche in cui versava l’autore al momento della scrittura. Per individuare quella “tensione” a cui «si deve gran parte del fascino e dell’ambiguità del libro» e ricostruire, dalla genesi alla sua fortunata ricezione, la storia di un’opera straordinariamente longeva e influente.