L'imperatore d'America

L'imperatore d'America
Storia favolosa del vagabondo che si fece re

«Per essere felici, bisogna essere virtuosi. Non sono  gli eserciti piumati, non l’oro, ma la virtù a fare il re.» Joshua Abraham Norton, Imperatore degli Stati Uniti d’America e Protettore del Messico 

«In quale altra città un povero pazzo indifeso che si credeva imperatore delle due Americhe sarebbe stato tanto appoggiato e incoraggiato? In quale altro luogo persino la gente della strada avrebbe mai rispettato l’illusione di un povero sventurato?» Robert Louis Stevenson

 «Cielo, per me era sempre doloroso vedere l’Imperatore chiedere la carità; perché, malgrado il fatto che nessun altro lo credesse imperatore, lui ci credeva fermamente. Era convinto di essere figlio di qualche regnante d’Inghilterra…» Mark Twain 

Il 17 settembre 1859 uno strano proclama appare sui giornali di San Francisco: il signor Joshua Abraham Norton abolisce la repubblica e si autoincorona Nor­ton I, Imperatore degli Stati Uniti d’America. Di lì a poco diventa una celebrità cittadina, salutato da tutti mentre pattuglia le strade con la sua buffa divisa mi­litare e il cappello ornato di piume di gallo. Ma chi è questo eccentrico vagabondo?

Ebreo inglese d’origine, emigrato in Sudafrica da bam­bino, Norton era arrivato come tanti in California per il sogno della corsa all’oro, diventando persino un ricco imprenditore, finché un affare sbagliato l’aveva spedito sul lastrico. Era insomma solo l’ennesima vit­tima del sogno americano, almeno fino al giorno di quella bizzarra, cerimoniosa autoincoronazione.

Imprevedibilmente, infatti, i cittadini gli danno cor­da: le tipografie stampano bond imperiali con la sua faccia (e i negozianti li accettano di buon grado); gli studi fotografici sfornano ritratti ufficiali da distribuire come cartoline; tutti parlano dei suoi editti imperiali in cui scioglie i partiti per corruzione, o propugna profeticamente il voto alle donne e i diritti civili per gli afroamericani. L’autoproclamato Impe­ratore riesce persino a fermare un linciaggio razzista tra le strade di Chinatown (o almeno così tramanda­no le cronache, sempre più leggendarie).

Quando nel 1880 muore collassando per strada in una pozzanghera, in tasca gli trovano pochi spiccioli, ma anche un telegramma dello zar Alessandro II che si complimenta per le sue imminenti nozze con la regina Vittoria. Forse è falso, forse no, ma poco importa: al suo funerale partecipano diecimila persone, e la città pullula di bandiere a mezz’asta. Sulla sua tomba, tutto­ra meta di pellegrinaggi, è scritto: Norton I, imperatore degli Stati Uniti d’America e protettore del Messico.

Errico Buonanno racconta questa storia vera che sembra una fiaba, un grande apologo sul potere esplosivo della fantasia: quando tutto ci crolla intor­no, è possibile comunque inventarsi un impero, e convincere il mondo intero a crederci.

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